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Caratteristiche della reversibilità in caso di decesso del lavoratore

Sentiamo spesso parlare della pensione di reversibilità o indiretta, ma di cosa si tratta realmente? In sostanza, al momento del decesso di un lavoratore assicurato o pensionato iscritto presso una delle gestioni dell’INPS, è prevista, a favore dei familiari superstiti, una pensione chiamata “pensione di reversibilità” o “pensione indiretta” che garantisce il sostentamento minimo quando viene meno una fonte di reddito per la famiglia. 

 

Pensione di reversibilità e pensione indiretta: le differenze

 

La legge garantisce la pensione di reversibilità al coniuge e ai figli di un soggetto pensionato deceduto, per una determinata percentuale che si differenzia in base a chi concorre realmente alla pensione. Invece, se viene a mancare un soggetto iscritto all’INPS non ancora detentore di pensione al momento del decesso, si parla di pensione indiretta. Essa è riconosciuta nel caso in cui l’assicurato abbia versato almeno 15 anni di contributi (780 contributi settimanali) in tutta la vita assicurativa oppure, in alternativa, almeno 5 anni di contributi (260 contributi settimanali), di cui 3 (126 contributi settimanali) nei cinque anni precedenti il decesso.

 

A chi spetta la pensione di reversibilità o la pensione indiretta?

 

La disciplina dell’erogazione delle pensioni ai superstiti, contenuta nell’art 1, comma 41, L. 335/1995, prevede che tale diritto spetti: 

  • Al coniuge;
  • Ai figli ed equiparati che, alla data del decesso, non abbiano superato il 18° anno di età o, indipendentemente dall’età, siano riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso;
  • In assenza del coniuge e dei figli o se, pur esistendo, essi non abbiano diritto alla pensione ai superstiti, ai genitori dell’assicurato o pensionato che, al momento della morte del dante causa, abbiano compiuto il 65° anno di età, non siano titolari di pensione e risultino a carico del lavoratore deceduto; 
  • In assenza del coniuge, dei figli o dei genitori o se, pur esistendo, essi non abbiano diritto alla pensione ai superstiti, ai fratelli celibi e sorelle nubili dell’assicurato o pensionato che, al momento della morte, siano inabili al lavoro, non titolari di pensione e siano a carico del lavoratore deceduto. 

Pertanto, una persona che deceda senza beni intestati, può lasciare la reversibilità agli eredi senza necessità che questi debbano per forza fare l’accettazione di eredità (circostanza che comporterebbe il subentro nelle eventuali obbligazioni non adempiute del defunto).

 

Pensione di reversibilità calcolo: quale cifra spetta al superstite?

 

Con riferimento al quantum, la legge prevede che la cifra dell’assegno di reversibilità varia in base al numero di figli economicamente a carico del defunto e deve essere espressamente richiesta; precisamente: 

  • 70% della pensione in presenza di un solo figlio;
  • 80% della pensione in presenza di due figli;
  • 100% della pensione per tre o più figli.

 

La pensione di reversibilità al coniuge e al convivente

 

Analizzando il testo letterale della legge, si evince che in caso di decesso di soggetto convivente, il partner con il quale non ha mai contratto matrimonio non ha diritto alla pensione indiretta, in quando nell’elenco dei titolari della pensione ai superstiti si parla proprio di moglie e marito. Il concetto di coniuge è stato però interpretato ed esteso dopo l’approvazione della legge Cirinnà, grazie alla quale la giurisprudenza di merito ha iniziato ad introdurre l’ipotesi di reversibilità in favore del convivente

 

La sentenza n.4203/2019 a favore dei conviventi

 

Pietra miliare in merito in Italia è la sentenza n.4203/2019 pronunciata dal Tribunale di Foggia, n.4203/2019, la quale, pur riguardando il caso di una coppia omosessuale, si è ispirata ai principi contenuti nella sentenza emessa dalla Corte d’Appello nel 2018 (n. 1005/2018), secondo cui a norma dell’art. 36 della nostra Costituzione, qualsiasi Giudice può procedere al riconoscimento di un diritto costituzionalmente tutelato quale deve ritenersi il diritto al trattamento pensionistico di reversibilità e quindi intervenire direttamente. 

La Corte Costituzionale ha chiarito che il diritto alla pensione di reversibilità viene ad inserirsi nel nucleo dei diritti/doveri fondamentali dell’uomo che l’art. 2 tutela e garantisce all’interno delle formazioni sociali nelle quali va inclusa l’unione, sia essa omosessuale o meno, intesa come stabile convivenza tra due. 

Pertanto il diritto alla pensione di reversibilità è esteso a tutte le coppie e non solo a quelle unite civilmente: il requisito per accedere alla pensione di reversibilità non è l’unione civile ma la stabile convivenza. 

 

Insomma, la reversibilità in favore del soggetto convivente è legata unicamente ad un’interpretazione giurisprudenziale della norma, in quanto la legge di per se stessa non prevede che il convivente possa avere diritto a tale beneficio.

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